Casa è il luogo dove il cuore è sempre al sicuro.
Qui, nel mio soggiorno fotografico, io mi sento al sicuro, proprio come a casa.
E’ qui che mi rifugio – letteralmente – a lavorare; è qui che progetto, penso, provo, organizzo, accolgo i clienti, nuovi e vecchi amici.
Nel 2012 avevo già ben chiare le idee in testa, volevo che il mio lavoro fosse la mia vita ma non volevo mischiare le due cose, non volevo che l’una interferisse negli affari dell’altra. Avere uno studio fotografico fisico, pensavo (e oggi ne sono covinto ancora di più), era la scelta migliore per assecondare le mie idee.
Nel mio studio, volevo prima di tutto sentirmi a mio agio, sentirmi al sicuro.
Volevo anche che ogni persona che entrava qui dentro si sentisse come se quello era esattamente l’unico posto al mondo in cui voleva essere in quell’esatto istante.
Ecco perché, all’inizio per scherzo, un caro amico l’ha soprannominato soggiorno fotografico.
Volevo fosse un posto ampio, luminoso, dai soffitti alti, uno di quelli che quando entri, lo senti che ‘vive’, letteralmente. Lo dice ogni cosa che c’è dentro, vecchie macchine fotografiche, libri di fotografie, cornici (alcune non drittissime), piante…
Inizialmente c’era solo una scrivania, poi due, poi un divano prima giallo e due poltrone rosse e poi un Chersterfield bianco panna e le foto più belle che avevo scattato durante gli anni: ho imparato che le cose belle richiedono tempo, che ci vuole pazienza e oggi, dopo circa dieci anni e due traslochi, il soggiorno fotografico ha esattamente la forma che mi ero immaginato dieci anni fa, appena ho aperto.
Da un lato posso accogliere i miei clienti e i miei amici, uno spazio senza tempo (più di 20 orologi appesi al muro, collezionati negli anni, regalati o prestati per l’occasione e nessuno di questi che segna l’ora giusta più di due volte al giorno) ma pieno di vita: il divano Cherstelfiel apparteneva a due signori nel nord Italia che per forza cause maggiori hanno dovuto lasciare la loro casa in campagna per trasferirsi in città ma non volevano andasse perso quel pezzo della loro storia che li ha ristorati dopo le fatiche di una giornata di lavoro, che ha ascoltato i loro sogni e che li ha visti avverare e che oggi ascolta i sogni di ogni sposa; un mobile sicuramente risalente agli anni ’40, così mi è stato detto quando un collezionista di mobili d’epoca ha visto una foto di quell’oggetto, “lo si vede subito dalle maniglie”: quante storie avrà vissuto!
Ho scoperto che mi piacciono le piante, mi piace vederle crescere, mi piace vederle andare in letargo in inverno e vederle rinascere non appena la primavera arriva in studio; mi piace comprarne una e posizionarla su una scrivania ma la sera vedere la stessa pianta in una scena del film e cambiargli posizione il giorno dopo. Mi affascina il cambiamento, la crescita, mi incuriosisce. Mi piace pensare cosa accadrà domani, trovare soluzioni in anticipo, organizzare il mio futuro.
Dall’altro lato avevo necessità di avere uno spazio libero per scattare: amo la ritrattistica, amo raccontare storie e attraverso un solo scatto sono convinto di poter raccontare almeno una parte di ognuno delle persone che mi trovo davanti alla macchina fotografica, a volte anche la più intima anche se è la prima volta che ci incontriamo.
Come in ogni cosa che faccio, nel soggiorno fotografico, a casa mia, convivono emozioni e tecnica, razionalità e creatività, testa e cuore.
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